Chi
ha provato quel senso di libertà che ti dona la montagna, difficilmente potrà mai dimenticarlo. Anzi, in molti casi, diventa
quasi un'ossessione. Una ricerca continua verso qualcosa che ti possa
portare a provare ancora quelle emozioni.
Così
quando mi arrivò la notizia che avrebbero riproposto la
Alagna-Monterosa fui subito rapito dall'idea di partecipare. Questa
gara, insieme alla Courmayeur-Monte Bianco e alla Cervinia-Breithorn,
fu tra le prime e più importanti competizioni dello Skyrunning
Mondiale. Qui si affrontarono atleti del calibro di Meraldi, Greco,
Brunod, che fecero la storia di questo sport. Da
un punto di vista filosofico, come dice il suo ideatore Marino
Giacometti, lo skyrunning è molto facile da spiegare: "run free
to the top of the mountain" e questa competizione ne incarna
perfettamente lo spirito.
Salire
una montagna e tornare indietro, contando solo sulle proprie forze e
sulle proprie capacità. Quale
sfida potrebbe essere più avvincente?
Per
me nessuna. Ero pronto, almeno psicologicamente, ad affrontare questa
nuova avventura.
Mancava
solo una cosa, penso la più importante: il compagno. Il grande
cambiamento che ha subito questa competizione, che nei primi anni
Novanta veniva disputata singolarmente, è la partecipazione a
coppie.
Questa
novità avrebbe giocato un ruolo fondamentale, non solo sulla
sicurezza, sulla quale gli organizzatori hanno posto grande
attenzione, ma anche sul risultato della gara perché condividi paure
e momenti di crisi con il tuo compagno.
Affrontare
questo percorso in coppia ha reso quest'avventura ancora più unica.
Ancora più difficile.
Avevo
un biglietto di sola andata. Sapevo benissimo che poteva esserci un
solo compagno per questo viaggio.
Era
passato un po' di tempo dall'ultima volta che ci eravamo sentiti.
Così alzai il telefono e feci il numero. Ero tesissimo. Sapevo che
se lui mi avesse detto di no sarei stato costretto a rinunciare.
Rispose
subito. Ero contento di sentirlo. Avevamo condiviso bellissimi
momenti insieme: dalla TransLagorai-Cima d'Asta al Trofeo kima 2014.
Una chiacchierata veloce e poi arrivai al sodo. Gli spiegai nel
dettaglio la gara e lui senza pensarci tanto mi disse: “io ci
sono!”.
Michele
per me è sempre stato un esempio.
Quando
iniziai a correre, ormai dieci anni fa, lui era già un grande
atleta. Un precursore. Aveva iniziato a praticare gli sport outdoor
quando ancora erano sconosciuti. Non c'erano i social che potevano
avvicinarti.
La
sua passione è incontenibile e contagiosa.
Ora
avevo il compagno. Non restava che allenarsi.
Il
percorso ricalca il tracciato originale compiuto per la prima volta
nel 1993. Da Alagna Valsesia, 1192m, a Stazione Indren 3260m,
passando dalla Bocchetta delle Pisse 2396m. Si prosegue verso il
Rifugio Gniffetti 3647m e al Colle del Lys 4250m, fino alla Capanna
Margherita 4554m, con ritorno per lo stesso itinerario.
Per
un totale di 35 km e 3500 metri di dislivello positivo.
La
gara si svolge su sentieri di montagna con tratti impegnativi in
salita e discesa, tratti innevati, ghiacciai con crepacci, tratti
esposti, ripidi pascoli e pietraie, in condizioni meteorologiche e
ambientali severe, superando la quota di 4500m.
Il
problema principale secondo me era l'altitudine. Abitando a 200 metri
e non avendo grandi possibilità di permanenza in quota, avevo paura
che dopo Indren avremmo sofferto.
Altro
aspetto da non sottovalutare era lo zaino. Fast, ma non tanto light.
Tra materiale obbligatorio e abbigliamento, lo zaino arrivava a
pesare circa 4/5 kg. Quindi, che fare? Come impostare l'allenamento?
Il
mio pensiero è stato quello di lavorare sul motore e quindi
aumentare il Vo2 max cercando di ottenere il
massimo
risultato con sedute di allenamento brevi e di lavorare sui lunghi
con piccoli sovraccarichi per abituare le articolazioni e la
muscolatura.
Insieme
al mio amico Gabriele, che ormai da anni mi segue nella preparazione,
siamo usciti dai canoni convenzionali dell'allenamento e ci siamo
addentrati in un “territorio” a noi sconosciuto.
Arrivò
il giorno della gara. La sveglia suonò alle 4 del mattino. Dopo aver
fatto colazione, iniziammo a controllare il materiale e
l'abbigliamento.
Avevo
paura di dimenticare qualcosa e allo stesso tempo volevo limitare il
peso. Lasciammo l'albergo in compagnia di Marco De Gasperi, lui andrà
in ricognizione perchè nei giorni successivi tenterà di battere il
record di Meraldi del '94.
Ci
augura buona fortuna e si avvia lungo il percorso che fra poco
percorreremo anche noi.
In
piazza, sotto l'arco di partenza, l'atmosfera era piena di tensione
ma allo stesso tempo vedevo negli occhi degli altri atleti
determinazione e voglia di mettersi alla prova. Io e Michele ci
abbracciammo. Tutti eravamo in attesa del via. Iniziò il countdown e
dopo pochissimi secondi ci ritrovammo ad affrontare la salita.
Cercammo di trovare il nostro ritmo.
Il
nostro obiettivo principale restava quello di finire la gara, quindi
ci eravamo ripromessi di non fare fuorigiri inutili.
Sapevamo
benissimo che la differenza l'avrebbe fatta la parte alta della gara.
Chiacchierammo con chi saliva accanto a noi. Quella dello skyrunning
è una grande famiglia, dove ci si conosce tutti: dai campioni alle
persone normali, che rubano tempo alla famiglia e al lavoro per
questa grande passione.
Il
sentiero si allargò attorno ai 2000 metri di quota, appena prima
della bocchetta delle Pisse.
Da
qui iniziammo ad aumentare gradualmente il passo e a guadagnare
posizioni. Arrivammo alle Pisse dove era posto il primo ristoro.
Stavamo bene e tutto andava per il meglio. Dovevamo calzare i ramponi
e da lì, imboccare il vallone che ci avrebbe portato verso Indren
con una ripida salita che passa sotto l'omonima bastionata. Michele
calzò i ramponi. Poi prese i miei, così da permettermi di non
togliere lo zaino. Ma di ramponi ce n'era solo uno. Panico. Non
riuscivo a capire come avessi potuto commettere un errore così. Mesi
di sacrifici sprecati per una disattenzione. Con un solo rampone non
potevo proseguire, questo era certo.
Ero
sicuro di averlo messo nello zaino. Lo avevo controllato tre volte.
Non sapevo più cosa fare. Erano già dieci minuti che eravamo fermi
e Michele ormai aveva già pensato di aver finito la gara. Quando ad
un certo punto, sul tavolo del ristoro, vide l'altro rampone.
Probabilmente era caduto e qualcuno vedendolo per terra lo aveva
raccolto e posizionato sul tavolo. Me lo infilai alla velocità della
luce e senza esitazioni ricominciammo a salire.
Dovevamo
recuperare il tempo perso e quindi aumentammo la velocità.
Ero
arrabbiato e mi sentivo in colpa per aver commesso una leggerezza del
genere. Michele mi tranquillizzò e piano piano recuperammo
posizioni.
Iniziammo
a calpestare la prima neve e a vedere le prime bastionate sotto
Indren. Tanti puntini sul ripido pendio ci indicavano la strada che
avremmo dovuto percorrere.
Arrivammo
ad Indren dove le guide alpine e Marino Giacometti avevano il compito
di controllare tutte le cordate prima di affrontare il ghiacciaio.
Presi la corda dallo zaino e ci legammo. Usciti dal punto di
controllo controllai l'orologio, eravamo in anticipo sui cancelli,
quindi continuammo a salire regolari.
Ad
un certo punto sentii una voce che mi chiamava e pensai che era un
pochino presto per avere le allucinazioni. Mi guardai attorno. Sara
era in vacanza all'Isola d'Elba e per la prima volta non era riuscita
ad essere presente ad una mia gara. Ero molto dispiaciuto ma non
volevo che la mia passione potesse toglierle il piacere di una
settimana al mare con la sua famiglia. La voce che mi chiamava era
troppo reale.
Non
ci credevo. Lei era lì con i suoi genitori, a quasi 3300 metri
vicino alla stazione di Punta Indren.
Ci
urlammo qualcosa che, nell'agitazione del momento, feci fatica a
comprendere, ma vederla lì mi diede una marcia in più.
Ormai eravamo al canale prima della Gniffetti. Questo era il tratto più ripido della gara. Un canale dallo sviluppo di 200/300 metri con una pendenza di circa 50°. Arrivammo alle corde fisse, ci agganciammo con la longe e iniziammo a salire. Stavamo salendo pianissimo.
Troppo piano. Due passi e due minuti fermi. Due passi e due minuti fermi. E così via.
Ormai
eravamo a circa 3600 metri di quota, la giornata era fantastica ma
l'aria era davvero fredda. Io iniziai ad avere problemi alle mani.
Non avevo più sensibilità e iniziai a tremare. Finalmente uscimmo
dal canale. Mi tolsi lo zaino e indossai tutto quello che avevo:
giacca, gore, moffole, cuffia. Tutto. Poi guardai Michele e gli dissi
che dovevamo provare a forzare un po' per provare a scaldarci.
Aumentammo il passo fino al colle del Lys, dove avremmo trovato un
altro ristoro dal quale avremmo potuto vedere il nostro obiettivo:
Capanna Margherita. Arrivati al colle lo spettacolo fu unico. Il
Cervino, i Lyskamm, la Dofour. Un panorama mozzafiato a 360 gradi.
Prendemmo due barrette al ristoro e iniziammo la discesa. Dopo il colle si effettua un lungo traverso leggermente in discesa sotto la Parrot. Da qui inizia l'ultima rampa che porta verso i 4554 metri della Capanna. Superammo qualche cordata che ci incitò e alla fine dopo 5 ore e 30 minuti eravamo a metà del nostro viaggio. Lo spettacolo era unico. Un vero nido d'aquile.
La parete est sotto la balconata, con i suoi 2000 metri è la più alta delle Alpi. Il cielo era limpido. Blu intenso. Ma purtroppo non ci fu il tempo per fermarsi.
Giusto
il tempo di un bicchiere di the caldo e via. Eravamo coscienti che il
viaggio sarebbe finito solo ad Alagna.
La
stanchezza iniziava a farsi sentire e la discesa ci preoccupava. Non
sapevamo fino a che quota il rigelo, che fino a quel momento ci aveva
permesso di non sprofondare, avrebbe resistito alle temperature
diurne in rialzo.
Ci
abbassammo velocemente fino alla Gniffetti. Dopodiché arrivammo al
canale, con la neve che iniziava a mollare. La guida alpina posta
all'inizio ci invitò a fare attenzione. Non avevamo molte
alternative. Longe nelle corde fisse, culo per terra e giù. Per
fortuna le corde avevano dei nodi che rallentavano la nostra corsa
verso valle. Arrivammo a Indren, la discesa era ancora lunga. Avevo
neve dappertutto e le gambe ormai erano ko. Sotto ad Indren c'era un
pendio ripido, ma senza corde fisse. Quindi cercammo di scendere
correndo e non scivolando perché avevamo paura di non riuscire più
a fermarci. Un passo, due, tre, scivolai; iniziai a prendere
velocità. Provai a puntare i piedi, i bastoncini ma niente da fare,
non riuscivo a fermarmi. Michele mi urlò qualcosa che non riuscii a
capire. Pensai di farmi male. Molto male. I sassi spuntavano dalla
neve e io scendevo a tutta velocità. Arrivai alla fine del pendio e
mi fermai. Ero stato davvero fortunato.
Michele
mi raggiunse, non riusciva a smettere di ridere.
Ricominciammo
a scendere. Ormai eravamo in picchiata verso Alagna lungo le piste da
sci e i bellissimi sentieri nel bosco sopra al paese. Giù, sempre
più giù. Sapevamo di avercela fatta.
In
quegli istanti pensai a tutta la preparazione e alla strada fatta
fino a quel momento per realizzare il mio sogno. Pensai agli
allenamenti con il Gabri, alle serate al Maria Longa Trail Park con
tutti i ragazzi. Erano stati mesi duri ma allo stesso tempo
fantastici.
Iniziammo
a sentire la voce di Silvano Gadin che accoglieva i “finisher”
sulla linea del traguardo e a vedere le prime case.
Sara
era lì ad aspettarmi. Non vedevo l'ora di abbracciarla.
Eravamo
nuovamente ad Alagna. Dopo 8 ore e 20 minuti tagliammo il traguardo.
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