5 dicembre 2018

Inseguendo i sogni si sale, senza sogni si cade

Chi ha provato quel senso di libertà che ti dona la montagna, difficilmente potrà mai dimenticarlo. Anzi, in molti casi, diventa quasi un'ossessione. Una ricerca continua verso qualcosa che ti possa portare a provare ancora quelle emozioni.
Così quando mi arrivò la notizia che avrebbero riproposto la Alagna-Monterosa fui subito rapito dall'idea di partecipare. Questa gara, insieme alla Courmayeur-Monte Bianco e alla Cervinia-Breithorn, fu tra le prime e più importanti competizioni dello Skyrunning Mondiale. Qui si affrontarono atleti del calibro di Meraldi, Greco, Brunod, che fecero la storia di questo sport. Da un punto di vista filosofico, come dice il suo ideatore Marino Giacometti, lo skyrunning è molto facile da spiegare: "run free to the top of the mountain" e questa competizione ne incarna perfettamente lo spirito.
Salire una montagna e tornare indietro, contando solo sulle proprie forze e sulle proprie capacità. Quale sfida potrebbe essere più avvincente?
Per me nessuna. Ero pronto, almeno psicologicamente, ad affrontare questa nuova avventura.
Mancava solo una cosa, penso la più importante: il compagno. Il grande cambiamento che ha subito questa competizione, che nei primi anni Novanta veniva disputata singolarmente, è la partecipazione a coppie.
Questa novità avrebbe giocato un ruolo fondamentale, non solo sulla sicurezza, sulla quale gli organizzatori hanno posto grande attenzione, ma anche sul risultato della gara perché condividi paure e momenti di crisi con il tuo compagno.
Affrontare questo percorso in coppia ha reso quest'avventura ancora più unica. Ancora più difficile.
Avevo un biglietto di sola andata. Sapevo benissimo che poteva esserci un solo compagno per questo viaggio.
Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che ci eravamo sentiti. Così alzai il telefono e feci il numero. Ero tesissimo. Sapevo che se lui mi avesse detto di no sarei stato costretto a rinunciare.
Rispose subito. Ero contento di sentirlo. Avevamo condiviso bellissimi momenti insieme: dalla TransLagorai-Cima d'Asta al Trofeo kima 2014. Una chiacchierata veloce e poi arrivai al sodo. Gli spiegai nel dettaglio la gara e lui senza pensarci tanto mi disse: “io ci sono!”.
Michele per me è sempre stato un esempio.
Quando iniziai a correre, ormai dieci anni fa, lui era già un grande atleta. Un precursore. Aveva iniziato a praticare gli sport outdoor quando ancora erano sconosciuti. Non c'erano i social che potevano avvicinarti.
La sua passione è incontenibile e contagiosa. 
Ora avevo il compagno. Non restava che allenarsi. 
Il percorso ricalca il tracciato originale compiuto per la prima volta nel 1993. Da Alagna Valsesia, 1192m, a Stazione Indren 3260m, passando dalla Bocchetta delle Pisse 2396m. Si prosegue verso il Rifugio Gniffetti 3647m e al Colle del Lys 4250m, fino alla Capanna Margherita 4554m, con ritorno per lo stesso itinerario.
Per un totale di 35 km e 3500 metri di dislivello positivo.
La gara si svolge su sentieri di montagna con tratti impegnativi in salita e discesa, tratti innevati, ghiacciai con crepacci, tratti esposti, ripidi pascoli e pietraie, in condizioni meteorologiche e ambientali severe, superando la quota di 4500m.
Il problema principale secondo me era l'altitudine. Abitando a 200 metri e non avendo grandi possibilità di permanenza in quota, avevo paura che dopo Indren avremmo sofferto.
Altro aspetto da non sottovalutare era lo zaino. Fast, ma non tanto light. Tra materiale obbligatorio e abbigliamento, lo zaino arrivava a pesare circa 4/5 kg. Quindi, che fare? Come impostare l'allenamento?
Il mio pensiero è stato quello di lavorare sul motore e quindi aumentare il Vo2 max cercando di ottenere il
massimo risultato con sedute di allenamento brevi e di lavorare sui lunghi con piccoli sovraccarichi per abituare le articolazioni e la muscolatura.
Insieme al mio amico Gabriele, che ormai da anni mi segue nella preparazione, siamo usciti dai canoni convenzionali dell'allenamento e ci siamo addentrati in un “territorio” a noi sconosciuto.
Arrivò il giorno della gara. La sveglia suonò alle 4 del mattino. Dopo aver fatto colazione, iniziammo a controllare il materiale e l'abbigliamento.
Avevo paura di dimenticare qualcosa e allo stesso tempo volevo limitare il peso. Lasciammo l'albergo in compagnia di Marco De Gasperi, lui andrà in ricognizione perchè nei giorni successivi tenterà di battere il record di Meraldi del '94.
Ci augura buona fortuna e si avvia lungo il percorso che fra poco percorreremo anche noi.
In piazza, sotto l'arco di partenza, l'atmosfera era piena di tensione ma allo stesso tempo vedevo negli occhi degli altri atleti determinazione e voglia di mettersi alla prova. Io e Michele ci abbracciammo. Tutti eravamo in attesa del via. Iniziò il countdown e dopo pochissimi secondi ci ritrovammo ad affrontare la salita. Cercammo di trovare il nostro ritmo.
Il nostro obiettivo principale restava quello di finire la gara, quindi ci eravamo ripromessi di non fare fuorigiri inutili.
Sapevamo benissimo che la differenza l'avrebbe fatta la parte alta della gara. Chiacchierammo con chi saliva accanto a noi. Quella dello skyrunning è una grande famiglia, dove ci si conosce tutti: dai campioni alle persone normali, che rubano tempo alla famiglia e al lavoro per questa grande passione.
Il sentiero si allargò attorno ai 2000 metri di quota, appena prima della bocchetta delle Pisse.
Da qui iniziammo ad aumentare gradualmente il passo e a guadagnare posizioni. Arrivammo alle Pisse dove era posto il primo ristoro. Stavamo bene e tutto andava per il meglio. Dovevamo calzare i ramponi e da lì, imboccare il vallone che ci avrebbe portato verso Indren con una ripida salita che passa sotto l'omonima bastionata. Michele calzò i ramponi. Poi prese i miei, così da permettermi di non togliere lo zaino. Ma di ramponi ce n'era solo uno. Panico. Non riuscivo a capire come avessi potuto commettere un errore così. Mesi di sacrifici sprecati per una disattenzione. Con un solo rampone non potevo proseguire, questo era certo.
Ero sicuro di averlo messo nello zaino. Lo avevo controllato tre volte. Non sapevo più cosa fare. Erano già dieci minuti che eravamo fermi e Michele ormai aveva già pensato di aver finito la gara. Quando ad un certo punto, sul tavolo del ristoro, vide l'altro rampone. Probabilmente era caduto e qualcuno vedendolo per terra lo aveva raccolto e posizionato sul tavolo. Me lo infilai alla velocità della luce e senza esitazioni ricominciammo a salire.
Dovevamo recuperare il tempo perso e quindi aumentammo la velocità.
Ero arrabbiato e mi sentivo in colpa per aver commesso una leggerezza del genere. Michele mi tranquillizzò e piano piano recuperammo posizioni.
Iniziammo a calpestare la prima neve e a vedere le prime bastionate sotto Indren. Tanti puntini sul ripido pendio ci indicavano la strada che avremmo dovuto percorrere.
Arrivammo ad Indren dove le guide alpine e Marino Giacometti avevano il compito di controllare tutte le cordate prima di affrontare il ghiacciaio. Presi la corda dallo zaino e ci legammo. Usciti dal punto di controllo controllai l'orologio, eravamo in anticipo sui cancelli, quindi continuammo a salire regolari.


Ad un certo punto sentii una voce che mi chiamava e pensai che era un pochino presto per avere le allucinazioni. Mi guardai attorno. Sara era in vacanza all'Isola d'Elba e per la prima volta non era riuscita ad essere presente ad una mia gara. Ero molto dispiaciuto ma non volevo che la mia passione potesse toglierle il piacere di una settimana al mare con la sua famiglia. La voce che mi chiamava era troppo reale.
Non ci credevo. Lei era lì con i suoi genitori, a quasi 3300 metri vicino alla stazione di Punta Indren.
Ci urlammo qualcosa che, nell'agitazione del momento, feci fatica a comprendere, ma vederla lì mi diede una marcia in più.


Ormai eravamo al canale prima della Gniffetti. Questo era il tratto più ripido della gara. Un canale dallo sviluppo di 200/300 metri con una pendenza di circa 50°. Arrivammo alle corde fisse, ci agganciammo con la longe e iniziammo a salire. Stavamo salendo pianissimo.



Troppo piano. Due passi e due minuti fermi. Due passi e due minuti fermi. E così via.

Ormai eravamo a circa 3600 metri di quota, la giornata era fantastica ma l'aria era davvero fredda. Io iniziai ad avere problemi alle mani. Non avevo più sensibilità e iniziai a tremare. Finalmente uscimmo dal canale. Mi tolsi lo zaino e indossai tutto quello che avevo: giacca, gore, moffole, cuffia. Tutto. Poi guardai Michele e gli dissi che dovevamo provare a forzare un po' per provare a scaldarci. Aumentammo il passo fino al colle del Lys, dove avremmo trovato un altro ristoro dal quale avremmo potuto vedere il nostro obiettivo: Capanna Margherita. Arrivati al colle lo spettacolo fu unico. Il Cervino, i Lyskamm, la Dofour. Un panorama mozzafiato a 360 gradi.


Prendemmo due barrette al ristoro e iniziammo la discesa. Dopo il colle si effettua un lungo traverso leggermente in discesa sotto la Parrot. Da qui inizia l'ultima rampa che porta verso i 4554 metri della Capanna. Superammo qualche cordata che ci incitò e alla fine dopo 5 ore e 30 minuti eravamo a metà del nostro viaggio. Lo spettacolo era unico. Un vero nido d'aquile.




La parete est sotto la balconata, con i suoi 2000 metri è la più alta delle Alpi. Il cielo era limpido. Blu intenso. Ma purtroppo non ci fu il tempo per fermarsi. 
Giusto il tempo di un bicchiere di the caldo e via. Eravamo coscienti che il viaggio sarebbe finito solo ad Alagna.
La stanchezza iniziava a farsi sentire e la discesa ci preoccupava. Non sapevamo fino a che quota il rigelo, che fino a quel momento ci aveva permesso di non sprofondare, avrebbe resistito alle temperature diurne in rialzo.
Ci abbassammo velocemente fino alla Gniffetti. Dopodiché arrivammo al canale, con la neve che iniziava a mollare. La guida alpina posta all'inizio ci invitò a fare attenzione. Non avevamo molte alternative. Longe nelle corde fisse, culo per terra e giù. Per fortuna le corde avevano dei nodi che rallentavano la nostra corsa verso valle. Arrivammo a Indren, la discesa era ancora lunga. Avevo neve dappertutto e le gambe ormai erano ko. Sotto ad Indren c'era un pendio ripido, ma senza corde fisse. Quindi cercammo di scendere correndo e non scivolando perché avevamo paura di non riuscire più a fermarci. Un passo, due, tre, scivolai; iniziai a prendere velocità. Provai a puntare i piedi, i bastoncini ma niente da fare, non riuscivo a fermarmi. Michele mi urlò qualcosa che non riuscii a capire. Pensai di farmi male. Molto male. I sassi spuntavano dalla neve e io scendevo a tutta velocità. Arrivai alla fine del pendio e mi fermai. Ero stato davvero fortunato.
Michele mi raggiunse, non riusciva a smettere di ridere. 
Ricominciammo a scendere. Ormai eravamo in picchiata verso Alagna lungo le piste da sci e i bellissimi sentieri nel bosco sopra al paese. Giù, sempre più giù. Sapevamo di avercela fatta.
In quegli istanti pensai a tutta la preparazione e alla strada fatta fino a quel momento per realizzare il mio sogno. Pensai agli allenamenti con il Gabri, alle serate al Maria Longa Trail Park con tutti i ragazzi. Erano stati mesi duri ma allo stesso tempo fantastici.
Iniziammo a sentire la voce di Silvano Gadin che accoglieva i “finisher” sulla linea del traguardo e a vedere le prime case.
Sara era lì ad aspettarmi. Non vedevo l'ora di abbracciarla.
Eravamo nuovamente ad Alagna. Dopo 8 ore e 20 minuti tagliammo il traguardo.
Ora potevamo dire di essere dei veri skyrunner.















Nessun commento:

Posta un commento